mercoledì 7 settembre 2016

Numero 2627 La satira

da l'ASINO


Parliamo di satira:
E allora, visto che ne parlano tutti, parliamo di satira. Non è facile e quel che dirò farà incazzare un mucchio di gente, colleghi e grandi pensatori autoreferenziali ( " i migliori " ), ma io penso che questa roba che viene quotidianamente gabellata per satira sia tutto meno che satira. Infatti questi "migliori" satiri, come si autodefinisce Stefano Disegni, per fare satira si fanno pagare. Come se la satira fosse una prestazione d'opera! Riferiamoci ad esempio alla vignetta di Mannelli sulle cosce della Boschi. Se n'è fatto un gran pollaio urlando il diritto della satira di dire e fare ciò che vuole quando vuole. Nulla da eccepire. Purché sia satira. E quella vignetta di Mannelli satira non è. E' sberleffo, se volete. E' umorismo ( forse ) ma la satira è un'altra cosa! E allora vediamo insieme che cosa cavolo è questa benedetta satira. Naturalmente quel che affermo è pura opinione personale e vale per quel che vorrete che valga, ma io sono arciconvinto che la satira sia un sentimento, come l'amore, l'odio, la rabbia, la disperazione, il risentimento, l'indignazione, l'entusiasmo, la pietà, l'indifferenza e tanti altri e allora un sentimento non può essere definito in uno schema professionale. Non può esistere che uno si definisca di professione " satiro" o "satirista". Uno viene colto dalla necessità di esprimere attraverso la satira il proprio sdegno per un fenomeno o per un comportamento quando sbatte il naso contro un comportamento che non condivide. Personalmente mi è capitato di fare satira una sola volta nella vita: l'ho fatta e non l'ho esibita a nessuno: è stato quella volta che l'ambiguo Staino ha pubblicato una vignetta che segava le gambe a Natta, ricordate? quel colto e preparato omino che succedette a Berlinguer, aprendo le porte a quel genio di Occhetto, delle conseguenze del cui gesto - uccidere il PCI - sono oggi sotto gli occhi di tutti. Io disegnai un Natta disteso per terra con un coltello piantato nella schiena, che portava la firma di Tango, il giornale allora diretto da Staino. Quella vignetta non faceva certamente ridere, ma era certamente satira, perché scaturiva  da una profonda indignazione. Non può accadere che tutte le mattine al risveglio uno debba porsi la domanda "oggi di cosa mi indigno?" " nei confronti di cosa mi incazzo?" Mi riferisco naturalmente a tutti quei colleghi che per puro spirito mercantile, ogni santo giorno esibiscono il loro finto sdegno,la loro finta rabbia, su quotidiani o settimanali e ne ricevono un compenso. I sentimenti non possono, non devono essere mercificati. Altrimenti accade come al pur bravissimo disegnatore e pittore Mannelli che riceve le più fiere e accalorate difese da tutto il mondo dei " migliori " per essere stato posto sotto accusa dai "Benpensanti " per aver osato disegnare le cosce della Boschi e contemporaneamente i suoi fieri e accalorati difensori ( i "migliori" satiri italioti ) si scandalizzano se altri "migliori" satiri d'oltralpe osano mettere il dito sulle nostre piaghe: mafia e corruzione, senza che ci si renda conto che tutto nasce non dal risentimento, dalla indignazione, dalla ribellione satirica ma dalla loro esigenza di trovare ogni giorno, a tutti i costi una battuta che consenta di portare a casa il più o meno sontuoso compenso giornaliero. La satira è sacra! Viva la libertà di espressione! Difendiamo il diritto di esprimere le nostre opinioni: lo dice anche la Costituzione. La satira non si tocca! Tutto vero: purché sia satira e non merce.