

Avevo cominciato tempo fa una rubrica “antigastronomica” sulle pagine dell’Asino. Il direttore della testata mi chiede perché non continuo. Ebbene: mi pare che i segnali siano pessimi. Mi tocca prendere le difese perfino di tal Beppe Bigazzi, che mai mi fu simpatico. Costui è stato allontanato dalla Rai (e dal demenziale programma La prova del cuoco) addirittura per “istigazione a delinquere” per aver accennato ad un proverbio, conosciutissimo in area toscana e non solo.
Mi è sembrato opportuno rivolgermi alla massima autorità in campo parermiologico e di tradizioni popolari: Carlo Lapucci. L’autore del monumentale Dizionario dei proverbi italiani, apparso recentemente per i tipi Mondadori, nonché di centinaia di libri su modi di dire, indovinelli, fiabe, ecc. ecc. non ha nessun dubbio al proposito: “Stiamo vivendo in un periodo nel quale torna a galla il peggior bacchettonismo possibile -afferma- quello laico. Io che sono appassionato di libri del Seicento e mi sono macinato le peggiori prediche stampate dell’epoca non posso far altro che rilevare l’impressionante somiglianza tra i moralismi di ora e di allora. Con la differenza che nel XVII secolo almeno c’era una fede, adesso solo malafede. Di bigotti, stupidi, ignoranti e, a loro dire, progressisti”.
In effetti la querelle che ha portato alla defenestrazione del povero canuto conduttore della trasmissione, ha solo del ridicolo. Il consumo di carne di gatto, infatti, non pertiene solo a popoli sottosviluppati (quali i cinesi, i vicentini e via dicendo). Specie in tempo di guerra, e di fame nera, era uso comune e ha dato àdito a tropi passati nel proverbiale, tipo “non dire gatto se non l’hai nel sacco”, dove il sacco era appunto l’unico mezzo di cattura del felino. A tal proposito Lapucci rimanda ad una storia drammatizzata e illustrata, tipica dei cantastorie, contenuta in una sua recente pubblicazione (Carlo Lapucci, Teatro popolare minimo, Polistampa, Firenze, 2009, pp. 137-139) che qui si trascrive:
La compagnia dei Magnagatti
I tavola: raduno in cantina dei ciabattini assassini
Una notte a mezzanotte
sette o otto ciabattini
in quell’arte riputati
dei più esperti e dei più fini
fecer dentro una cantina
una compagnia assassina.
Dopo lunghe discussioni
fu tra loro stretto un patto
con solenne giuramento
di mangiar qualunque gatto
che acchiappassero qua e là
per le vie della città.
II tavola, giuramento con le mani sul libro
Disse Buzzo il presidente:
-Giuriam tutti sul Vangelo
di mangiarci tutti i gatti
quando son di primo pelo!
E or che magnagatti siamo
diciam tutti: -Lo giuriamo!
Or la lega si è formata:
prenda ognun laccio e sacchetto
zitto vada al buio in giro
e, se trova un bel ricetto,
che non possa dir, per Bacco,
manco gnau che è dentro il sacco!
III tavola: magnagatti di note con il gatto nel sacco
Ti lamenti nel sacchetto
Gatto mio dagli occhi belli?
Anche tu sei un assassino
Quando mangi topi e uccelli.
Mangi tu ma mangio anch’io
che così ha voluto Iddio!
Oggi andiamo tutti in festa
a mangiare da Bolano
che stanotte in Piazza Verdi
ha chiappato un bel soriano…
Per il gusto prelibato
sempre il gatto sia lodato!
IV tavola: cucina del gatto
Pane fresco e vino buono
son già in tavola, compagni,
marameo già fritto aspetta
che si beva e che si magni
e Bolan che l’ha chiappato
mille volte sia lodato.
Su cantiamo uno gnau-gnau
quindi parli il presidente
e poi forza alle ganasce
e del mao non resti niente.
Siamo tutti quanti qua?
Oh, che bella società!
V tavola: banchetto del gatto
C’è Tortello, Bullettone,
c’è Bolano, c’è Gramigna
con ganasce da leone,
Buzzo, Maso, Golo e il Tigna.
Tutti quanti siamo qua!
Oh, che bella società.
Quando sfrigola in padella
un bel gatto che fragranza,
aglio, salvia, rosmarino:
regna in casa l’abbondanza
che per sempre il ciel ci dia,
lode al gatto sempre sia.
Giuriam tutti per la fede
della lesina e il trincetto
di mangiar ogni bel gatto
sorian, bianco e rossetto.






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