lunedì 18 agosto 2014

Numero 2128 Così parlò Di Battista

da l'ASINO

Trovare le cause non perseguire gli effetti.

Dite quel che vi pare ma per me il ragionamento sul terrorismo  di Di Battista non fa una grinza. Ve ne riporto la sintesi apparsa oggi su IL FATTO ON LINE. Poi, se volete, se ne parla:


"Se a bombardare il mio villaggio è un aereo telecomandato io ho una sola strada per difendermi a parte le tecniche nonviolente che sono le migliori: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in una metropolitana”. Dice di non voler giustificare né approvare, il deputato del Movimento Cinque Stelle Alessandro Di Battista, ma di “provare a capire”. “Per la sua natura di soggetto che risponde ad un’azione violenta subita – scrive – il terrorista non lo sconfiggi mandando più droni, ma elevandolo ad interlocutore. Compito difficile ma necessario, altrimenti non si farà altro che far crescere il fenomeno”. Secondo Di Battista, inoltre, “occorre legare indissolubilmente il terrorismo all’ingiustizia sociale. Il fatto che in Africa nera la prima causa di morte per i bambini sotto i 5 anni sia la diarrea ha qualcosa a che fare con l’insicurezza mondiale o con il terrorismo di Boko Haram? Il fatto che Gaza sia un lager ha a che fare con la scelta della lotta armata da parte di Hamas?”. La presa di posizione è a proposito della guerra in Iraq, ai nuovi massacri dell’Isis e allareazione dei Paesi occidentali che stanno decidendo in queste ore cosa fare. Sull’ipotesi di armare i curdi, che il 20 agosto sarà sottoposta al voto delle commissioni Esteri di Camera e Senato, Di Battista osserva: “‘Armiamo i curdi’ sostiene la Mogherini. Chi ci dice che una volta vinta la guerra i curdi non utilizzeranno quelle armi sui civili sunniti?”.
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L’intervento del deputato M5s, molto lungo, è stato pubblicato sul blog di Beppe Grillo. ”Dovremmo smetterla – secondo il parlamentare Cinque Stelle – di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione. Questo è un punto complesso ma decisivo. Nell’era dei droni e del totale squilibrio degli armamenti il terrorismo, purtroppo, è la sola arma violenta rimasta a chi si ribella. E’ triste ma è una realtà”. La posizione all’interno del Movimento Cinque Stelle non è nuova. Nei giorni scorsi, in un’intervista alla StampaManlio Di Stefano - componente come Di Battista della commissione Esteri della Camera – aveva spiegato che per “fenomeni radicali come l’Isis sarebbero da approfondire con calma e rispetto“. Le parole di Di Battista sono finite al centro della polemica politica: tutti, dal Pd a Forza Italia, hanno criticato l’analisi del deputato grillino: “Parole farneticanti”.
Gli 8 punti di Di Battista
L’intervento di Di Battista parla delle colpe dell’Occidente, del fallimento della leadership americana, degli interessi delle lobby del petrolio e delle armi in ogni conflitto. Quanto al presente Di Battista mette in fila in particolare 8 punti secondo i quali, in sintesi, l’Italia dovrebbe: realizzare che la linea americana è stata finora sconfitta, spingere l’Ue a promuovere una conferenza di pace sul Medio Oriente, promuovere una moratoria internazionale sulla vendita delle armi, trattare il terrorismo come il cancro e quindi eliminandone le cause (per esempio “i fenomeni di corruzione promossi da Eni“), “smettere di considerare il terrorista un soggetto disumano con il quale nemmeno intavolare una discussione” (e quindi confrontarsi con lui), “legare indissolubilmente il terrorismo all’ingiustizia sociale”, “cominciare a pensare alla costruzione di una società post-petrolifera”. Su tutto, poi, rivedere la concezione sui confini degli Stati: quelli attuali sono stati “imposti dall’Occidente dopo la prima guerra mondiale” e di conseguenza “il processo di nascita di nuove realtà su base etnica è inarrestabile sia in Medio Oriente che in Europa. Bisogna prenderne atto e, assieme a tutti gli attori coinvolti, trovare nuove e coraggiose soluzioni”.
“Armare i curdi per fermare la guerra è una follia”
Di Battista commenta la possibilità di armare i curdi con l’obiettivo di fermare la guerra come “una follia che non credo che una persona intelligente come il ministro Mogherini possa davvero pensare. Evidentemente le pressioni che ha subito in queste settimane e il desiderio che ha di occupare la poltrona di ministro degli esteri della Commissione europea, l’hanno spinta ad avallare le posizioni di Obama e degli Usa ormai autoproclamatisi, in barba al diritto internazionale, poliziotti del mondo”. Gli americani, dice Di Battista, “hanno sostenuto colpi di stato in tutto il pianeta, venduto armi a dozzine di dittatori, loro che hanno impoverito mezzo mondo, loro che, da soli, utilizzano oltre il 50% delle risorse mondiali. Loro che hanno invaso Iraq e Afghanistan con il pretesto di distruggere le ‘cellule del terrore’ ma che hanno soltanto progettato oleodotti, costruito a Baghdad la più grande ambasciata Usa del mondo ed esportato, oltre alla loro democrazia, 25mila contractors in Iraq, uomini e donne armati di 24 ore che lavorano in tutti i campi, dalle armi al petrolio passando per la vendita di ambulanze. La guerra è davvero una meraviglia per le tasche di qualcuno”.
“Miliziano Isis diverso da Colin Powell? 
D’altra parte, come detto, la leadership americana ha fallito finora, secondo Di Battista. I tremila morti dell’attentato alle Torri Gemelle (“una panacea per il grande capitale nordamericano”) furono utilizzati come “pretesto per attaccare l’Afghanistan, un paese con delle leggi antitetiche rispetto al nostro diritto ma che con il terrorismo internazionale non ha mai avuto a che fare, e l’Iraq”. Qui “la vittoria della Nato fece piombare il Paese in una guerra civile senza precedenti e le fantomatiche armi di distruzione di massa non vennero mai trovate. Ripeto, Saddam le aveva, ahimè, già utilizzate e gli Usa lo sapevano benissimo. A questo punto mi domando quanto un miliziano dell’Isis capace di decapitare con una violenza inaudita un prigioniero sia così diverso dal segretario di Stato Colin Powell colui che, mentendo e sapendo di mentire, mostrò una provetta di antrace fornitagli da chissà chi per giustificare l’imminente attacco all’Iraq. Una guerra che ha fatto un numero di morti tra i civili migliaia di volte superiore a quelli provocati dallo Stato Islamico in queste settimane”.
“Comprare F35 e bombardare villaggi azioni criminali”
Dunque “l’avanzata violenta, sanguinaria, feroce dell’Isis è soltanto l’ultimo atto di una guerra innescata dai partiti occidentali costretti a restituire i favori ottenuti dalle multinazionali degli armamenti durante le campagne elettorali. Comprare F35 mentre l’Italia muore di fame o bombardare un villaggio iracheno mettendo in prevenivo i ‘danni collaterali’ sono azioni criminali che hanno la stessa matrice: il primato del profitto sulla politica”. Di Battista spiega: “L’Isis avanza, conquista città importanti e minaccia migliaia di cristiani. E’ evidente che la comunità internazionale e l’Italia debbano prendere una posizione”. Per il deputato, tuttavia, “innanzitutto occorre mettere in discussione, una volta per tutte, la leadership nordamericana. Gli Usa non ne hanno azzeccata una in Medio Oriente. Hanno portato morte, instabilità e povertà”. In secondo luogo, secondo Di Battista, “l’Italia, ora che ne ha le possibilità, dovrebbe spingere affinché la Ue promuova una conferenza di pace mondiale sul Medio Oriente alla quale partecipino i paesi dell’Alba, della Lega araba, l’Iran, inserito stupidamente da Bush nell’asse del male e soprattutto laRussia un attore fondamentale che l’Ue intende delegittimare andando contro i propri interessi per obbedire a Washington e sottoscrivere il Ttip il prima possibile”. Per dirla più chiaramente “essere alleati degli Usa non significa essere sudditi, prima di applicare sanzioni economiche a Mosca, sanzioni che colpiscono più le imprese italiane che quelle russe, si dovrebbero pretendere le prove del coinvolgimento di Putin nell’abbattimento dell’aereo malese”.
E in generale “l’Italia dovrebbe trattare il terrorismo come il cancro” e “il cancro si combatte eliminandone le cause non occupandosi esclusivamente degli effetti”. Quindi “si condanna in Nigeria Boko Haram ma si tace di fronte ai fenomeni di corruzione promossi da Eni che impoveriscono i nigeriani dando benzina alle lotte violente dei fondamentalisti”. Non solo: “L’Italia dovrebbe porre all’attenzione della comunità internazionale un problema che va risolto una volta per tutte: i confini degli stati. Non sta scritto da nessuna parta che popolazioni diverse debbano vivere sotto la stessa bandiera”. 

L'ASINO

Forse qualcosa sta cambiando nel mondo!
( da Repubblica di oggi

La Cina manda in pensione il Pil: ambiente e povertà per misurare la qualità della vita

Cambia il paradigma per le misurazioni economiche, e a sorpresa è Pechino a fare i primi passi: la provincia di Fujian, che vive di export e manifatturiero, sostituirà il Prodotto lordo con indici su agricoltura e protezione dell'ambiente. Hebei ha già attuato la svolta con un piano anti-povertà. Il "dovere primario" non è più la crescita alla vecchia maniera, ma la protezione degli acri di foresta. Anche se qualche dubbio resta
LONDRA - Che la ricchezza non basti a misurare il benessere non è una novità, né lo sono vari tentativi, nel mondo, di sostituire il Pil con altre misurazioni, come quella della "felicità" scelta dal Buthan. Ma ora è la Cina a muoversi, con oltre 70 città e distretti che hanno abbandonato il Prodotto interno lordo come misura della performance locale. I vertici del partito l'hanno stabilito alla fine dell'anno scorso e il premier Xi Jinping l'ha ribadito in giugno: "Non possiamo più usare il semplice Pil per decidere chi sono i più bravi".

I funzionari governativi stanno assimilando il contrordine: ora chiedono cose come l'attenzione all'ambiente e la riduzione della povertà. E proprio mentre l'Ocse progetta di sostituire il Pil con il suo Better Life Index, arrivano i primi segni concreti, a parere del Financial Times, del fatto che la Cina stia davvero lasciando il mantra della crescita economica a ogni costo per incoraggiare una miglior qualità della vita. 

Fujian, provincia costiera finora concentrata sulla movimentazione delle esportazioni e il manifatturiero, è uno degli esempi: questo mese ha annunciato che sostituirà il Pil con indici sull'agricoltura e la protezione dell'ambiente in 34 dei suoi distretti. Nei mesi scorsi è stata la volta di Hebei, distretto siderurgico a nord di Pechino, e Ningxia, regione povera del nord est della Cina. A Hebei l'obiettivo è ora quello di ridurre le fabbriche cheproducono smog (lo smog che affligge anche Pechino, a un centinaio di chilometri, che a sua volta sta chiudendo i suoi impianti più inquinanti).

Via dunque cementifici, acciaierie e centrali elettriche. In più, c'è un piano di lotta alla povertà e per lo sviluppo rurale, con l'obiettivo di ridurla a zero entro il 2020, mentre la Agricultural University di Hebei produce tesi su povertà e turismo, che studiano come mettere a frutto il patrimonio rendendolo fruibile (con migliori infrastrutture, più cooperazione regionale e più pubblicità) ai "turisti ecologici e al Turismo Rosso", come scrive lo studioso Zhang Pengtao.

Le aree di Guangxi, Guangdong e Jiangxi hanno a loro volta rallentato la corsa alla crescita del Pil e incoraggiano terziario e primario, con servizi, allevamenti e trasformazione non industriale dei suoi prodotti. Nel distretto di Tiannan, provincia di Jiangxi, per inseguire il Pil hanno introdotto tre fabbriche di ceramica e un impianto di trasformazione non ferrosa dei metalli. Ma ora che il Pil non è più un "dovere primario", come ha spiegato il segretario locale del partito Sheng Hengda all'agenzia Xinhua, "abbiamo equipaggiato le fabbriche con strutture che trattano l'inquinamento".

Nella provincia del Sichuan, la più popolata della Cina, il governo locale ha diviso città e campagne in due differenti gruppi di valutazione. Il regolamento, pubblicato a fine giugno, spiega che 58 distretti con buoni ecosistemi sono stati esentati dalla valutazione del Pil. Le prossime valutazioni del progresso locale verranno fatte su due parametri: la misurazione degli acri di foresta conservati e quella della diminuzione del tasso di povertà conseguita. Nel frattempo, la regione iugura del Xinjiang ha cambiato obiettivi: protezione della natura, anche lì.    

La stessa Pechino ora si vanta di aver chiuso nel primo semestre dell'anno ben 213 aziende inquinanti. In più, settori "puliti" come tecnologia informatica e servizi finanziari hanno coperto più del 50% della crescita del Pil cittadino, che lì è in vigore ma sta cambiando contenuti, appunto.

Tutto procede secondo la nuova linea decisa dal partito, dunque. Anche se un dubbio resta. Come segnala il Financial Times, la corsa al Pil e alla ricchezza, anche personale, ha creato ottimi rapporti fra i rappresentanti del governo e le inquinanti industrie tradizionali: intere carriere costruite sui trionfi del Pil della propria area, come nel caso di Zhang Gaoli, membro della Commissione permanente del Politburo da fine 2012, dove è arrivato anche per la crescita del Pil della megacittà di Tianjin negli ultimi anni, da quando lui ne è diventato segretario locale del partito, nel 2007. Come ha fatto? Appoggiando grandi imprese di costruzione che hanno prodotto, fra l'altro, la "risposta cinese a Manhattan", cioè i grattacieli del distretto finanziario di Yujiapu. Oggi buona parte dei palazzoni resta vuota, ma lui è vice premier, appena nominato anche a capo dell'ufficio che promuoverà lo "sviluppo sinergico" di Pechino, Tianjin e la provincia di Hebei.