Da " VOGLIA DI CAMBIARE"
di Salvatore Giannella - Edizioni Chiarelettere
Così gli spagnoli hanno sottratto la televisione pubblica
al potere dei partiti
L’aveva promesso in campagna elettorale, nel 2004. E appena eletto
premier, il leader socialista Zapatero ha mantenuto la parola, riformando
la radiotelevisione pubblica spagnola e cancellando la «Tv di
partito».
Per affrontare questa sfida tutt’altro che facile, aveva affidato a
cinque saggi (tra questi, il filosofo e scrittore Fernando Savater, uno
dei più noti intellettuali in Spagna e anche in Italia, sostenitore del-
la prevalenza dell’etica in politica) il compito di elaborare una riforma
per garantire alla Tv pubblica indipendenza dai partiti di governo,
pluralismo e migliori contenuti.
L’11 maggio del 2006 hanno approvato la nuova legge che regolamenta
radio e televisione di proprietà dello Stato. Vota a favore la
Camera dei deputati, con l’eccezione del Partito popolare di opposizione.
La nuova normativa, che fa sue alcune delle raccomandazioni
dello studio presentato dal comitato dei cinque saggi, pone come
obiettivo l’indipendenza, l’obiettività, l’imparzialità e il pluralismo
politico nelle emittenti pubbliche.
Il 27 febbraio del 2007 parte il processo di riforma di Rtve. Prima
mossa, la riduzione dei costi: quattromilacentocinquanta dei
novemila dipendenti a casa (con prepensionamenti e indennizzi)
entro il 2008. Il debito di 7551 milioni di euro accumulati dall’ente
pubblico viene assunto dallo Stato. Ora la Radiotelevisión non è
più un ente pubblico ma una società anonima pubblica (Corporación
Rtve), con capitale statale e autonomia di gestione, sottoposta
al controllo del Parlamento.
Il nuovo modello prevede la creazione di un consiglio d’amministrazione
indipendente con maggiori funzioni e con più responsabilità
rispetto al passato. Il consiglio è formato da dodici membri
eletti con la maggioranza dei due terzi (quattro dal Senato e otto
dalla Camera) e ha un mandato di sei anni in modo da non coincidere
con la durata della legislatura. Anche il presidente viene nominato
dal Parlamento (in precedenza lo nominava il governo). E se
prima la televisione pubblica si finanziava solo con gli ingressi pubblicitari,
adesso il sistema di finanziamento è misto: il 35-40 per
cento infatti arriverà dalle casse dello Stato (ma non ci sarà nessun
canone per l’utente che continuerà a fruire della televisione pubblica
gratuitamente), il resto dalla pubblicità.
«I primi effetti positivi della riforma si sono già fatti sentire anche
se è un po’ troppo presto per fare un bilancio vero e proprio», spiega
Ángel Fernández, cinquantun’anni, giornalista specializzato in comunicazione
del quotidiano «El Mundo». «Un esempio? Basta guardare
i telegiornali: oggi sono più imparziali, mentre prima erano
sempre a favore del partito di governo e molto critici con le forze
politiche di opposizione. Per quanto riguarda i palinsesti, la nuova
Radiotelevisione spagnola punterà alla qualità. Grazie ai finanzia-
menti pubblici ci sarà infatti più informazione, più cultura (soprattutto
su La 2), più cinema spagnolo ed europeo, più spazio alle minoranze
sociali e meno pubblicità (da dodici minuti all’ora siamo
passati a nove). E almeno l’80 per cento dei programmi sarà di produzione
spagnola, abbattendo le spese per le acquisizioni di programmi
preconfezionati all’estero e dando più lavoro in casa.»
Quant’è distante la Rai italiana...